* QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER DI “LA DEA IN FIAMME” DI R.F. KUANG*

“Sono qui” disse loro. E poi, visto che da lontano non avrebbero potuto sentirla, Rin mandò un bagliore in aria: un’enorme fenice che spiegò adagio le ali contro il cielo blu scintillante a riprova del fatto che Rin era tornata.

Un finale devastante. Un libro che brucia di rabbia e dolore, di vendetta e destini andati in fumo. Eppure, La dea in fiamme è il finale più appropriato che si potesse avere per una trilogia così dura e reale. Un addio che scotta. E brucia, brucia, brucia.

Mentre scrivo queste parole, il mio cuore è ancora tra quelle pagine. Con Rin e Kitay e il popolo del sud, in una guerra fredda e sanguinaria che non conosce pietà, e questo forse vi farà capire quanto sia difficile scrivere tutto ciò, perché significa lasciare andare definitivamente i personaggi che ho imparato ad amare… alcuni sin dal primo libro, altri invece da quest’ultimo. Questa recensione conterrà spoiler del 3° libro, per cui fermate ORA la lettura della recensione se non lo avete già letto.

Chi decideva chi era un umano? I nikariani consideravano anche gli speerliani delle bestie e per secoli li avevano sfruttati come schiavi guerrieri. Il nemico non era umano… bene. Ma se erano animali, allora dovevano essere inferiori. Se invece i mugeniani erano inferiori, come avevano fatto a vincere? Questo significava forse che in questo mondo, per sopravvivere, si doveva essere bestie? Forse nessuno era davvero una bestia. Forse era così che l’assassinio diventava possibile. Si denudava una persona della sua umanità e poi la si uccideva.

Nel 2° libro abbiamo lasciato Rin in preda ad una furia cieca e vendicativa. Tradita da Nezha e Vaisra, dall’intera Repubblica degli Yin, Rin non desidera altro che scatenare sangue, fuoco e distruzione sulla loro casata. Si schiera con chi realmente ha sofferto le battaglie a cui fino a quel momento abbiamo assistito: il suo popolo di appartenenza, la gente del sud, provenienti da Tikany e non solo. Quello che si prospetta in questo libro è quindi una lotta contro il popolo della Repubblica, il nord, i privilegiati, ed è davvero ciò che accade. Il sud, un popolo di contadini e agricoltori, è in rivolta e Rin brandisce la loro rabbia cocente come l’arma di cui ha realmente bisogno.

Dalla sua ha il fuoco, ha una dea… e tutto ciò la porta ad essere pervasa e persino anestetizzata dalla sensazione di essere invincibile, qualcosa che la porta a compiere scelte sempre più rischiose e avventate, a mettere in piedi piani complessi dove le possibilità di sopravvivenza per il popolo sono scarse.

Alzò le braccia. Dalle spalle le spuntarono le ali che sfavillarono a tre metri d’altezza. Una volta Kitay l’aveva accusata di ostentare troppo, di sacrificare l’efficienza all’esibizione. Che differenza faceva? Non aveva senso andare per il sottile quando sapevano cosa lei fosse. E Rin voleva che quell’immagine si imprimesse nei loro occhi, che diventasse l’ultima cosa che loro avrebbero visto prima di morire: la speerliana e la sua dea.

A bilanciare una simile situazione è Kitay, la sua àncora, il suo migliore amico. Kitay che, nonostante tutto, continua comunque ad essere saldo sui propri principi e che cercherà sempre di tracciare la via più giusta da percorrere. Ma a volte, ahimé, non riuscendo comunque a farlo.

“Mi dispiace” – “No, Rin. Tu non ti dispiaci mai”

Tra scontri, battaglie, nuove alleanze e incontri impensabili, vedremo una Rin pronta a strappare via il potere dalle mani di Nezha e Vaisra, con le unghie e con i denti. Conosceremo una Rin come non l’avevamo mai vista prima: sregolata, impaziente, pronta a dare alle fiamme chiunque le metta i bastoni tra le ruote. La vedremo compiere scelte azzardate che ci faranno storcere il naso e urlare alle pagine, cercando invano di scuoterla. Ma la vedremo anche riconoscere i suoi sbagli, sbagli che la tormenteranno ogni notte nel sonno e che le sussurreranno dolci parole malevole attraverso il delizioso volto di Altan. Questa è proprio una cosa che non mi aspettavo, ma che mi ha fatto molto riflettere sulla profondità del personaggio di Rin e, più in generale, sulla complessità della mente umana. Non mi aspettavo di rivedere in ballo Altan, ma sicuramente non mi aspettavo di vederlo sotto questa veste: come un subconscio malevolo, un diavoletto sulla spalla di Rin che sussurra cattiverie, debolezze, persino cadute di stile che purtroppo Rin ogni tanto concretizzerà. Altan, che era solo un ragazzo sopravvissuto ad un massacro che si è sempre portato dietro e dentro di sé, alla fine è diventato qualcosa che non era. Ricordato per quelle poche azioni poco delicate che gli abbiamo visto compiere nel 1° volume. Da una parte mi è dispiaciuto. Dall’altra, questa sfaccettatura della storia aiuta molto a comprendere come la follia stia prendendo realmente piede nella mente di Rin.

Ci hanno sempre detto che i cike sono destinati a impazzire, abbiamo sempre visto gli effetti da un punto di vista esterno… adesso, secondo me, la Kuang ci addentra nella mente di una dei cike più pericolosi di sempre e che lotta per mantenere saldamente con sé la propria sanità mentale. Sì, Kitay sarà anche un parafulmine per quella follia dovuta alla Fenice, ma Rin… beh, diciamo che non se l’è mai passata liscia in questi libri. Trovo piuttosto comprensibili alcune delle follie messe in atto dal suo personaggio.

In ogni caso, questo libro è la resa dei conti, ma non credete che la Kuang non abbia cercato di mettere ulteriore carne al fuoco. Un tumulto, un fiume in piena, una montagna che viene scossa e devastata alle fondamenta: questo è La dea in fiamme e questo, ahimé, sarà anche il vostro cuore alla conclusione di questo libro.

Tra tanti massacri però riusciremo ad assistere a qualcosa di meraviglioso, alla vera perla di questo libro: il rapporto che si verrà ad instaurare tra Rin e Kitay. Due anime che viaggiano non sempre sugli stessi binari, ma che si completano nel modo più bello possibile. L’amore nato tra questi due personaggi – non l’amore tipico e convenzionale a cui siamo abituati, ma l’amore più puro che vi capiterà di leggere – sarà il regalo che la Kuang vi saluterà. Sarà ciò che vi porterete dietro, qualcosa a cui personalmente non riesco ancora a smettere di pensare…

Una delle scene che però ho amato particolarmente in La dea in Fiamme è lo scontro tra Rin e Nezha. Una faida aperta da anni, che porta nel bel mezzo di uno scontro emozioni contrastanti, desideri di vendetta e rivalsa, ma anche un affetto negato e tradito. Una scena fatta di pugni, fango, sangue e ira. Urla che sentiremo nel nostro io più intimo, che urleranno di odio e rabbia, come se il tradimento nei confronti di Rin fosse un tradimento fatto alla nostra stessa persona.

Rin e la rabbia, il fuoco, la sua mano mancante e il dolore di quel peso corporeo invisibile, che in realtà non c’è più. Nezha e il suo amore per lei, per l’unica cosa buona che aveva nella sua vita, la difficoltà nell’essere l’ultimo erede e nel doversi guadagnare il rispetto di suo padre e degli esperiani. Uno scontro potente, dove i pugni arrivano alle nostre stesse ossa.

E vogliamo parlare della fine di Vaisra? Momento di puro godimento, come quando mangi un cioccolatino Kinder dopo anni di astinenza. Un’uccisione ad hoc. Morto attraverso il potere che aveva brandito come mero strumento al proprio servizio… poesia. Poesia pura. Non meritava una fine più clemente di quella che ha ricevuto.

Così come anche Souji. Una lenta, violenta e cruda tortura mista a morte. Probabilmente Vaisra avrebbe meritato maggiormente qualcosa di simile, ma Souji è stato un simbolo, lo sfogo di un intero popolo. Ma soprattutto ha simboleggiato l’ennesimo momento di transizione che avviene nel personaggio di Rin: mai più sottomessa, mai più tradita… pena, una morte priva di pietà. Una scena pesante, ma che si imprime nelle nostre menti per un motivo ben preciso e che si conclude con un sorriso da parte di Daji… ho AMATO alla follia quell’ultimo dettaglio.

Era violenza, ma non caos. Quella rabbia era sotto controllo, era affinata, diretta, una gigantesca ondata di potere che solo lei era in grado di contenere. E non era solo alimentata dal risentimento verso Souji. In un certo senso, Souji non c’entrava affatto con quel massacro. Si trattava di dare prova di lealtà, una specie di macabra scusa da parte di chi si era espresso contro di lei. Era un sacrificio di sangue per un nuovo capo di facciata. E se c’era ancora chi dubitava della sua attitudine al comando, allora le urla avrebbero almeno infuso paura nel profondo dei loro cuori. Gli indecisi ora avrebbero capito quanto sarebbe costato opporsi a lei. In una maniera o nell’altra, con l’amore o l’odio, l’adorazione o la paura, Rin li avrebbe conquistati. Ferma in fondo alla ressa, Daji incrociò lo sguardo di Rin e le sorrise.

Ulteriore elemento interessante inserito in questo libro dalla Kuang è la conoscenza più approfondita che si riesce a fare della famosa Triade. Esattamente come ci si aspettava dalla conclusione del secondo libro, la cara Su Daji ritorna in ballo col desiderio di allearsi a Rin, ed è effettivamente ciò che fa. Tra le due inizia ad instaurarsi un rapporto strano… e sorprendentemente Rin inizia ad emulare Daji, manifestando il desiderio di essere e apparire forte, di far paura ai propri nemici e, così, governare il Paese. Daji aiuterà Rin, ma lo farà più per il desiderio egoistico di risvegliare la sua terza àncora, l’antico e sanguinoso Imperatore Riga, che per un vero sentimento altruistico. Riga si rivelerà esattamente come ci aspettavamo, come un comandante prepotente ed egoista, pronto a mettere sotto i propri piedi il volere di qualsiasi persona. Inoltre, piccola nota a margine, odia gli speerliani, e questa cosa farà passare a Rin un brutto quarto d’ora.

Ci addentriamo allora in quello che per me è un brutto fail del libro: la Triade, subito dopo il risveglio di Riga, viene uccisa una volta per tutte, attraverso un attacco esperiano e il sacrificio di Jiang – il povero, caro, bipolare maestro Jiang. Questa cosa era probabilmente necessaria per procedere con la storia, ma l’ho vista come un grande e grosso spreco: avrei voluto vedere molto di più, approfondire maggiormente la Triade, vivere le dinamiche di tre dei personaggi più spaventosi del mondo della Kuang più da vicino. Daji si è rivelata un personaggio molto più interessante di quanto credessi. Jiang, nonostante il suo lato oscuro, è un personaggio che ho amato e che continuerò ad amare e piangere per la sua fine. Riga… nonostante tutto, era un villain che avrei voluto vivere di più, che aveva un potenziale pazzesco. Considerato tutto ciò che è stato detto su di loro, tutto ciò che hanno fatto, fino alla fine del libro mi aspettavo – e speravo – in un loro ritorno. Peccato.

“E’ molto semplice, bambini. Riportate la religione in questo paese. Svelate agli esperiani la verità sugli dei. Sai qual è il tuo problema? Hai condotto l’intera guerra rimanendo sulla difensiva. Pensi ancora come una persona in fuga. Eppure, sarebbe il momento di cominciare a pensare come una sovrana”.

Altra cosa che rimarrà un’eterna domanda… ma che diamine di fine ha fatto il fratello di Rin!? Qualcuno se l’è chiesto? Perché io sì, mi aspettavo che saltasse fuori da un momento all’altro, ma… nulla. Zero. Potremmo facilmente immaginare che sia stato ucciso, ma avrei voluto che venisse scritto da qualche parte, anche in maniera piuttosto breve. Avrebbe messo un punto anche a quel dettaglio.

Infine, concludiamo qualcosa che mi ha scaldato il cuore: il sentimento di appartenenza che Rin inizia a sviluppare, il legame e il rispetto che per gran parte del libro il sud mostra nei suoi confronti, la riconoscenza e il desiderio di alzarsi e combattere. Il potere di chi, più di tutti, desidera questa vita e intende viverla davvero, senza sottomissione alcuna.

“Non capisco, chi…” – “Loro hanno ascoltato. Loro sanno”. Gli prese la mano e lo condusse verso il profilo piano e modesto del paesino all’orizzonte. Alle porte si stava formando una folla. L’avevano vista arrivare ed erano venuti a darle il benvenuto. “Sono qui” disse loro. E poi, visto che da lontano non avrebbero potuto sentirla, Rin mandò un bagliore in aria: un’enorme fenice che spiegò adagio le ali contro il cielo blu scintillante a riprova del fatto che Rin era tornata.

All’interno de La dea in fiamme i messaggi sono molteplici e si rivelano uno più bello dell’altro, ognuno profondo a modo suo e spesso con una doppia valenza. Sicuramente si tratta di un libro che porta a lunghe riflessioni. Questo spiega anche perché, alla fine della lettura, molti potrebbero trovarsi sfiniti, colmi di una pesantezza dovuta in parte alla conclusione di una trilogia MAGNIFICA, ma d’altra parte dovuta anche ai temi trattati e alle difficoltà che tutti i personaggi vivono in questo libro. Un libro che raramente presenta momenti di gioia e spensieratezza, perché sarebbero inopportuni. Un libro che riporta il sentimento di devastazione della guerra, nudo e crudo, e che ti porta a riflettere su ciò che è realmente giusto o sbagliato… o meglio, su cosa definisce cosa sia realmente giusto o sbagliato. Chapeau Kuang, chapeau. Quando un libro ti spinge a riflettere così tanto e a sentire una storia, delle parole, in questo modo… non può che essere un buon libro.

Poi iniziarono le grida, e sopraggiunge l’estasi. Rin aveva passato tanto tempo a detestare ciò che provava quando bruciava, a detestare le fiamme e la dea. Adesso non più. Poteva ammettere di amarli. Le piaceva lasciare che i propri istinti più bassi prendessero il sopravvento. Godeva nel farlo.

Spero che questa recensione-spoiler su La dea in Fiamme vi sia piaciuta. Ci ho messo tanto ad elaborare tutto ciò che ho letto, perché è un libro che ti lascia a lunghe riflessioni, anche a distanza di tempo, e spero che in questo articolo possiate trovare un po’ di comprensione per tutto quello che, a fine libro, dovrete processare.

Vi ringrazio per essere arrivati a questo punto e, per una chiacchiera o due su La dea in Fiamme, sappiate sempre di potermi trovare su @sassenachthereader!

A presto, miei cari lettori, e grazie mille a Oscar Mondadori per avermi omaggiata con una copia del libro in anteprima.

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